sabato 31 marzo 2007

I Padroni delle Bollicine

Oggi voglio proporvi un articolo lungo ma che vi prego di leggere con calma, ben documentato e che tratta un tema a me caro: il consumo di acqua in bottiglia. Alla fine l'autore riporta alcune proposte davvero interessanti, e soprattutto concrete, per riequilibrare una situazione in cui i NOSTRI soldi pubblici sono spesi per favorire gli interessi privati.
Lasciate come sempre i vostri commenti, e buona lettura.

Vent’anni fa Emanuele Pirella - giocoliere dell’ironia che ha trasformato la pubblicità italiana - doveva lanciare un’acqua minerale per bambini. Non era conveniente sedurre le madri spargendo dubbi sulla trasparenza della minerale che bevevano gli adulti, anche perchè nella bottiglia dei poppanti c’era la stessa acqua offerta al consumo familiare in ogni supermercato. Cambiava solo l’etichetta; fantasia sublime del marketing. Vedrai che funziona, ma come farla funzionare ? Alla fine Pirella ha avuto l’idea: raddoppiate il prezzo.

Chi compra la crederà un portento. Vendite alle stelle. Aveva capito chi siamo. Siamo i più tenaci consumatori di acqua minerale nel mondo. Ogni italiano ne beve 218 litri l’anno, quasi il triplo degli austriaci. Meraviglia il secondo posto della Svizzera dove l’acqua arriva al rubinetto dalle montagne che abbracciano le vallate: 106 litri a persona, non importa se parla italiano, francese o tedesco. Bisogna dire che la vecchia l’Europa adora l’acqua in bottiglia con o senza bollicine: 38 miliardi di litri, un terzo del consumo mondiale anche se la popolazione è appena il 6 per cento della gente sparsa nei continenti. Privilegiati e un po’ sfiziosi, ma non proprio accorti. Ci lasciamo trascinare dalla pubblicità che rinfresca giornali e televisor.

Nel 2004 gli investimenti su pagine e spot sono cresciuti del 10 per cento: 379 milioni di euro. Corpo a corpo senza il tempo di tirare il fiato. Ed ecco che pur avendo a disposizione in quasi tutte le città l’acqua buona degli acquedotti, anziché interessarsi alla revisione delle tubature, metodi di depurazione e filtraggio, insomma, dedicare ad un bene prezioso la stessa attenzione riservata ai marciapiedi rotti, gli italiani si lasciano catturare dalla retorica: acqua in bottiglia sinonimo di purezza, bontà garantita dall’etichetta, fa bene alla salute perché raccolta alla fonte.

Si vuota il bicchiere con l’illusione di passeggiare nei giardini delle terme anche se l’acqua è finita in bottiglia decine di chilometri lontano da dove sgorga. Camion e autostrade. Non è facile spiegare che l’acqua del rubinetto è potabile e controllata con la pignoleria che la legge non impone alle minerali. Voci flebili sovrastate dal tam tam pubblicitario. Quando gli addetti ai lavori dell’acqua pubblica protestano per la pubblicità da loro ritenuta ingannevole e che, indirettamente, invita a diffidare dal liquido che vien fuori dal rubinetto, i colossi minerali fanno causa. Guai minacciare il loro mercato. Può il funzionario dell’ente locale o il dignitario di stato sfidare i signori delle bollicine ?

Se per caso la spunta - dopo carte bollate, spese d’avvocati e gironi di tribunali - appena due righe vaganti fra le pagine dell’enfasi pubblicitaria: questo il destino dei kamikaze dell’acqua pubblica.
Qualcuno insiste, i volontari danno una mano, ma la lotta è dispari. Appena un giornalista si interroga sulle acque minerali, il suo giornale rischia di perdere le inserzioni. Se è una Tv, gli spot. Meglio non parlarne. Le pressioni arrivano fino al ministero della Sanità come quando ho mandato un fax al ministro e lo stesso giorno mi chiama Mineracqua, associazione che riunisce gli imbottigliatori.

Nel 2003 ( governo Berlusconi ), Luca Martinelli giornalista di "Altra Economia- l’informazione per agire", manda un fax all’ufficio stampa del professor Sirchia: chiede un’intervista, vorrebbe dare un’occhiata alle analisi delle dieci marche più vendute, Mineracqua si fa viva dopo poche ore. Ammette d’essere stata informata dal ministro e spedisce una lettera al direttore del giornale: diffida di insistere con l’inchiesta.
A volte la difesa delle minerali scivola nell’avanspettacolo. Che acqua minerale e acqua del rubinetto siano concorrenti lo ha stabilito l’Antitrust. E dall’Antitrust esce una sentenza che condanna l’Acea ( gestisce l’acquedotto di Roma ) per aver pubblicizzato la sua acqua come ‘ pura e di montagna’ quando le sorgenti sono a soli 409 metri. In Australia sarebbe un picco irraggiungibile; in Italia può finire in galera chi si traveste da scalatore di una altura considerata ragguardevole collina. La mazza dell’Antitrust si abbatte implacabile: per caso favorisce i padroni delle bollicine.

Come mai i gestori degli acquedotti non fanno un po’ di pubblicità ? Non ne hanno interesse. Dei 230 0 240 litri consumati al giorno da ogni italiano, solo due o tre vengono utilizzati per bere o cucinare. Il resto docce e sciacquoni. Sfogliando i numeri del grande mercato, qualche dubbio: l’acqua italiana è la più gustosa del mondo oppure le nostre leggi consentono il saccheggio di risorse fino a ieri preziose e nel futuro strategiche?

Le aziende che imbottigliano sono 181; 226 etichette diverse; 8 mila dipendenti, giro d’affari un miliardo e 750 milioni di euro. Dei 11 miliardi e 800 mila litri di acqua minerale raccolti, poco più di un miliardo di litri attraversa ogni anno le frontiere. L’ export vola, nessuna sindrome cinese; bilancia commerciale sempre più rosa: 25 per cento in più dal 2001. Dissetiamo i raffinati del mondo serviti a tavola da quattro multinazionali: Nestlé, Danone, Coca Cola e San Benedetto. La Nestlé si presenta con undici etichette, dalla Perrier alla San Pellegrino, Panna, Levissima: tante ancora. Giro d’affari 870 milioni. La San Benedetto si ferma a 490. L’Uliveto e la Rocchetta della Congedi, 236 milioni; 196 la Danone con Ferrarelle, Vitasnella eccetera; la Spumador della Lombardia, 96 milioni; Sangemini, Fiuggi, 90. Rendiconti superati, risalgono al 2001 quando il grande mercato non era ancora invaso.

Non paghiamo solo l’acqua ( e molto cara ): chi consuma o non consuma le minerali è obbligato, e non lo sa, a finanziare lo smaltimento dei rifiuti. Far sparire una bottiglia di plastica nel 2001 costava agli enti pubblici 30 centesimi al chilo. Oggi di più. Ogni anno 150 mila tonnellate di Pet ( un tipo di plastica ) sono a carico della collettività senza contare che il prezzo pagato per l’acquisto delle confezioni impone la tassa invisibile di 40 euro al mese per persona.

Ma l’elenco non é finito: oltre alla pubblicità, trasporto e locazione. Esempio dell’Emilia-Romagna. Due immensi depositi privati accolgono duemila autotreni l’anno, uno a Cattolica l’altro verso la Lombardia. Stivano le bottiglie in depositi che sembrano palazzi dello sport ed ogni giorno distribuiscono ai supermercati la quantità richiesta. Rete capillare che funziona. Routine collaudata: ai magazzinieri rende più o meno un miliardo di euro da aggiungere agli euro di prima. Pagano sempre le ragazze che vanno in ufficio impugnando la bottiglietta o gli ultras della curva e i loro bottiglioni proporzionalmente meno cari. Le confezioni mignon, coccolata dalle abitudini delle italiane, costano proporzionalmente il 25 per cento in più delle confezioni da un litro e mezzo.

"Senza voler ridurre la libertà del drenare le fonti per vendere, si potrebbe mettere un tetto all’invasione pubblicitaria responsabile di abitudini artificiali che cambiano la vita a milioni di inconsapevoli. La legislazione ammette limitazioni: in quasi tutto il mondo è illegale promuovere il latte in polvere per la prima infanzia perché danneggia un bene primario come l’allattamento al seno": proposta-provocazione di Miriam Giovanazza e Luca Martinelli Martinelli nella lunga inchiesta di "Altra Economia- L’informazione per agire".

Il problema fondamentale è un altro: la quantità succhiata dalle holding minerali, quanto pesa sulla popolazione che vive attorno alla fonte? tante storie, ne racconta una: storia di un paese umbro – Boschetto – in lotta con Rocchetta: vuole lancia un nuova etichetta da affiancare a Brio Blu, Elisir e Rocchetta, appunto. E’ stata autorizzata a pompare 300 milioni di litri dal pozzo di Corcia. Teoricamente non ha nulla a che vedere col rio Fergia che alimenta gli acquedotti di Gualdo Tadino e Nocera Umbra, acqua stupenda.

Ecco il giallo: uno studio dell’Azienda Regionale per la Protezione dell’Ambiente dimostra che sarà proprio l’acqua del rio Fergia a finire in bottiglia. Cominciano i rubinetti secchi: due frazioni di Gualdo Tadino – Boschetto e Gaifana – verranno staccate dall’acquedotto e a spese dell’Azienda, allacciate ad un altro bacino. Soldi pubblici per agevolare gli interessi privati. Devono rendere bene alla regione e ai comuni se si è deciso così. Rendono, ma non come dovrebbero. La legge Regia delle concessioni risale al 1927, è stata corretta dalla Galli: fa entrare nella casse pubbliche 5 miliardi e 160 milioni l’anno. La Basilicata incassa 0,30 euro ogni mille litri; 0,51 la Lombardia; la Sicilia riceve 0,0010 euro fino a 35 mila litri; 0,65 il Veneto che con le sue montagne cede 2 miliardi e 647 milioni di litri l’anno.

Le proposte del Comitato Acqua chiede di estendere il regolamento regionale lombardo a tutti i posti d’Italia: prelievo di 0,0516 centesimi di euro, da aggiungere al vecchio canone di concessione, ogni 100 litri. Sarebbero 5 milioni e 68 mila euro, non un capitale ma potrebbe servire ad aprire fontanelle pubbliche. Poi il prelievo fiscale di un centesimo al litro da destinare a progetti di cooperazione: scavare pozzi nelle regioni di sabbia dove l’acqua è oro blu. E’ il suggerimento della Commissione Europea per lo Sviluppo e la Cooperazione. In fine una tassa sui prelievi per coprire i costi indiretti, riciclaggio plastica e smaltimento rifiuti.

Il viaggio nel mondo dell’acqua finisce qui. Mi accorgo di aver dato solo un’occhiata e ascoltato voci che rimbombano nel silenzio distratto di tutti quando sarebbe bene mobilitare esperti e università non chiamate a firmare solo etichette che promettono miracoli.

Anche la gente con la bottiglietta in mano ha il diritto- dovere di incuriosirsi di più. Ma è noioso; un altro pensiero da aggiungere ai pensieri che girano attorno. Stappiamo, beviamo e buona notte. Il fatalismo mediterraneo invita ad avere fiducia negli specchi Tv, mentre la praticità francese sta cambiando idea.

Per la prima dal 1999 i parigini sono tornati all’acqua del rubinetto. Sette anni fa erano secondi solo all’ Italia: il 78 per cento beveva dalla bottiglia almeno una volta la settimana. Il numero è rimpicciolito al 60 per cento. E la discesa continua: "Mai abbiamo avuto tanta fiducia nell’acqua che arriva in casa", parole di Monique Chotard, direttrice della Commissione per l’Acqua. A cosa si deve la conversione ? "La gente si è resa conto che l’acqua è un bene limitato. E se proprio bisogna pagare, meglio investire nelle ricerche che possano prolungare il godimento di un bene indispensabile alla vita. Nostra e degli altri".

Maurizio Chierici, (breve biografia)
Fonte:
http://www.arcoiris.tv/modules.php?name=Lettere&op=esteso&id=2120

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