“La Mafia è un fenomeno umano e come tutti i fenomeni umani è destinato morire".(G. Falcone)
A fine anni 80 e per i primi anni 90 alcuni rappresentanti dello Stato avevano la vittoria in pugno. La chiave usata per distruggere la mafia fu di
minare i suoi rapporti col potere politico ed economico. Colpire solo la mafia militare, armata, serviva a ben poco. E' una storia che ho pensato meritasse di essere raccontata, e spero letta.
Ufficio Istruzione di Palermo,
Rocco Chinnici è il primo a rompere i soliti schemi burocratici di indagine, e adottare il
metodo del Pool, inventato dal giudice torinese Gian Carlo Caselli. Il pool, un gruppo di lavoro affiatato, basato sulla circolazione delle informazioni, strettamente riservata ai soli membri, che poi le elaborano unitariamente: i risultati, manco a dirlo, sono eccezionali.
La storia di Chinnici, purtroppo, segue un modello che si ripeterà spesso: un giudice autonomo, che non ha ascoltato i "buoni consigli", come quelli di Salvo Lima, parlamentare andreottiano, che lo invitò ad interrompere le indagini sui colletti bianchi (Nda, personaggi politici e imprenditori) perchè rischiavano di bloccare "l'economia siciliana" e di farlo passare come un giudice persecutore della Dc. Frasi, minacce e atteggiamenti che ritroviamo ancora oggi, ormai inserite nel linguaggio politico.
Chinnici viene ucciso nel 1983, e lascia la sua eredità ad
Antonio Caponnetto, che potenzia il metodo del Pool e lo rende più efficace e indipendente. Mentre i Pubblici Ministeri, infatti, si trovavano ingabbiati sotto il comando della Procura, i giudici istruttori (cioè quelli che indagano, raccolgono prove, ed emettono i rinvii a giudizio) furono
dotati di indipendenza e autonomia. La qualità delle persone che vi facevano parte fece poi il resto: Giovanni Falcone, Paolo Borsellino, Leonardo Guarnotta, Giuseppe di Lello, Gioacchino Natoli, Ignazio De Francisci e Giacomo Conte.
Nel 1987 Caponnetto va in pensione e lascia il posto...a Falcone? Sarebbe stata la scelta naturale, ma si decide di iniziare lo smantellamento dall'interno di quel Pool di indipendenti. Viene nominato, secondo il criterio dell'anzianità, Antonino Mieli. Cosa ne pensano di questo, oggi, i difensori (a parole) della meritocrazia?
Mieli inizia la sua opera distruttrice, sparpagliando i processi antimafia in tutta la Sicilia. Borsellino commentò:
"Con questa tecnica (il pool, centralizzato, Nda) si chiuse la pagina delle indagini parcellizzate che per anni non riuscirono mai a centrare veri obiettivi. Ho l'impressione che qualcuno voglia tornare indietro".La reazione alle indigniazioni dei giudici è quella che abbiamo visto e continuiamo a vedere oggi per altri casi:
"protagonismo", "sete di potere", "filocomunismo", "ambizioni di protagonsimo istituzionale e politico".
L'indipendenza dei giudici, così come prevista dall'
art. 104 della Costituzione,
brucia ai tanti che vogliono difendere il sistema di potere mafioso-politico.
1989, Giovanni Falcone lascia, deluso e stremato, l'ormai defunto Pool, ed entra in procura di Palermo come Procuratore aggiunto, per cercare di salvare il salvabile. E' però al fianco di
Pietro Giammanco, un magistrato di potere, con fedelissimi come Giuseppe Pignatone, figlio di un potente democristiano. Giammanco metterà in moto il suo team, portando all'isolamento Falcone e
sottraendogli ogni ruolo di coordinatore delle indagini antimafia. Il metodo usato fu quello delle "carte a posto": i documenti venivano diffusi secondo le gerarchie, solo ai PM fedeli, e spesso Falcone verrà tenuto all'oscuro di decisioni prese. Il tutto è annotato sul suo computer, in un documento pubblicato dal quotidiano Sole 24 Ore, purtroppo solo dopo la strage.
Nel 1991 Falcone getta la spugna, lascia la procura per trasferirsi a Roma, e viene sostituito da Borsellino. Anche lui va neutralizzato: verrà relegato alle indagini sulla sola Trapani, impedendogli di lavorare sulla mafia Palermitana. Un esempio: nel giugno 1992, dopo l'uccisione di falcone, il mafioso Mutolo decide di pentirsi e collaborare con Borsellino. Giammanco e il suo team cercano di impedire l'incontro, e solo la minaccia di dimissioni di Borsellino li farà desistere. Nei primi interrogatori, il pentito preannuncia relazioni tra mafia, politica e istituzioni (come il poliziotto Bruno Contrada e il giudice Corrado Carnevale), ma il lavoro di Borsellino fu bloccato dopo pochi mesi, con la sua morte.
Falcone viene ucciso il
23 maggio 1992, alle ore 17:58, con una carica di cinque quintali di tritolo che uccide lui, la moglia, e 3 uomini della scorta. Il telecomando fu azionato da Giovanni Brusca, assoldato dal mafioso Totò Riina.
Il
19 luglio 1992, Paolo
Borsellino si reca insieme alla sua scorta in via D'Amelio, dove vive sua madre. Una Fiat 126 parcheggiata nei pressi dell'abitazione della madre con circa 100 kg di tritolo a bordo esplode, uccidendo oltre a Paolo Borsellino anche i cinque agenti di scorta.
La mafia non vinse ancora con queste due stragi, perchè
8 coraggiosi giudici che componevano il Pool antimafia di Falcone e Borsellino protestarono pubblicamente, costringendo Giammanco alle dimissioni. A Palermo arriverà, dal nord Italia, il giudice Gian Carlo Caselli, a ridar vita al lavoro del Pool e riprendere la lotta alla mafia. In questo caso, però, il tritolo non servirà. Una
campagna mediatica e politica, diffamatoria, che continua ancora oggi, ostacolerà continuamente i lavori del pool, sancendo la vera sconfitta dello Stato, voluta da quella parte di esso che ha deciso e continua a decidere di convivere con la mafia.
In occasione dell'anniversario della strage di Falcone, mi piacerebbe che tutti, al Nord come al Sud, si impegnino sempre a
non convivere, ma ad unirsi alle forze sane del paese per distruggerla. «La lotta alla mafia dev'essere innanzitutto un movimento culturale che abitui tutti a sentire la bellezza del fresco profumo della libertà che si oppone al puzzo del compromesso morale, dell'indifferenza, della contiguità e quindi della complicità.»
(Paolo Borsellino)