(Pubblico questa recensione scritta da FakePlasticTree.)
Quando ho deciso di acquistare questo libro, c’erano diversi pensieri nella mia testa che mi spingevano a compiere questo gesto alquanto insolito, per me, ovvero il comprare e successivamente leggere un libro intero fatto solo di poesie. Ma il verso recitato da quella ragazza la sera prima, ad una serata commemorativa della grande arte di Fabrizio De André, mi aveva colpito troppo: “ mentre la baciavo con l’anima sulle labbra, l’anima d’improvviso mi fuggì” e ancora di più mi colpì la possibilità di catturarlo sopra un foglio di carta per poterlo rivivere nel mio piccolo almeno con qualcun altro..quella sera infatti l’oggetto dei miei desideri, mi era proprio sfuggito, e con lei la possibilità di condividere un momento (ed uno spettacolo) così ricco di significati.
Ognuna delle canzoni raccolte nell’album “Non al denaro, non all’amore, né al cielo” riprende una delle poesie dell’Antologia, che sotto diverse spoglie – il verso sopra citato appartiene al “Malato di Cuore” Francis Turner – viene raccontata dalla musica e dalle parole del cantautore genovese; ed in quello spettacolo il tutto veniva accompagnato ad hoc da una mostra di quadri surreali, ciascuno raffigurante un brano, ad opera di un artista locale. Non vi parlo dell’ambientazione, veramente troppo romantica, con candele dalle luci soffuse ad illuminare ognuna delle tele disposte su speciali lapidi al cui nome rispondevano i 9 personaggi dell’immaginario di Spoon River.
Di fronte a tanto non ho potuto non dare un altro calcio in faccia alla vita e alla cultura; avevo acquisito definitivamente una prospettiva nuova sulla poesia d’autore e sulla musica di De Andrè, prima vissuta con soggezione a causa della sua fama di essere complessa ed eccessivamente pesante nei concetti e nella scrittura.
Mettiamo questa sensazione di entrare in uno scenario poetico per la prima volta sentito MIO a tutti gli effetti, con la volontà di renderne partecipi gli altri al più presto..ecco, più o meno, con questi pensieri in corpo mi apprestavo a leggere l’Antologia di Spoon River.
La prima parte, nell’edizione pubblicata dalla Einaudi nel ’71, contiene la prefazione di Fernanda Pivano, una studiosa di letteratura e scrittrice contemporanea che per prima si interessò della traduzione e della diffusione in Italia del capolavoro di Lee Masters. In origine allieva di Pavese, dal quale ricevette la copia del libro nell’edizione americana, la Pivano difende apertamente la scelta degli epitaffi greci come forma letteraria, che definisce qualcosa “..meno del verso ma più della prosa…” ma che funge da ottima “..rappresentazione della vita moderna..”
Le poesie, se da una parte descrivono la passione e il romanticismo che personaggi infelici come il farmacista Trainor (“Un Chimico” in De Andrè) VISSERO, dal momento che a parlare è l’iscrizione sulla loro lapide, dall’altra racchiudono in aneddoti tutta la serie di comportamenti gretti e meschini che caratterizzarono la vita di un paesino della provincia americana di inizio secolo.
In certi casi la successione delle poesie sembra descrivere una narrazione vera e propria in cui diversi tasselli si incastrano a formare un episodio, contrapponendo i punti di vista dei vari personaggi che vi prendono parte.
Il magistrato che temeva il giudizio di Dio, avendo in vita prevaricato più volte il diritto e le leggi umane in nome dei propri interessi, il medico che aveva iniziato la professione per “curare i ciliegi” e si arrende di fronte all’ingranaggio che spersonalizza chi assume una carica sociale, riconoscendone soltanto l’aspetto remunerativo e non l’apporto emotivo al benessere di una comunità. È evidente il tentativo ben riuscito di smascherare le contraddizioni che stanno aldiquà dell’atmosfera tranquilla di paese. I tanti personaggi diversi su vari fronti, dal lavoro che svolgono, all’amore/odio per i propri cari dal grado di aspettative che nutrono verso loro stessi che li porterà -soddisfatti o meno, pronti oppure no- ad unica destinazione finale, quella cantata in maniera solenne ed inquietante allo stesso tempo da De Andrè in “Dormono sulla Collina”.
Sembra che quella collina dove inevitabilmente risiedono tutti accanto questi personaggi d’invenzione, vinti tutti insieme dalla morte che accomuna e livella (Totò) senza tenere conto di quel che sono stati, ma dando loro l’opportunità di un ultimo messaggio al mondo, a chi ora può ascoltarli leggendone l’iscrizione.
Alcuni colgono quest’occasione per redimersi dalle proprie malefatte, altri per vivere quello che non avevano potuto fare fino in fondo, e altri per denunciare verità troppo pesanti da portare appresso nella tomba.
L’unica figura che si differenzia da questo generale panorama, a cui nel disco è appositamente riservata l’ultima traccia, è il suonatore Jones. Egli è quello a cui “la terra suscita vibrazioni nel cuore” poiché ha un dono in più rispetto agli altri, il “saper suonare” che entra nelle vite altrui donando armonia all’ascolto – “se la gente sa che sai suonare, suonare ti tocca per tutta la vita”-
La sua rinuncia agli affanni della vita in nome di questi principi lo risparmia dalle vicende in cui i piccoli uomini rimangono impigliati a causa della loro eccessiva dedizione al dio denaro, al sentimento o ad un’esistenza in nome di un ideale..per cui Jones è l’unico di Spoon River ad aver giocato davvero, fino infondo la partita, riuscendo nell’intento di andarsene “senza nemmeno un rimpianto”.
FakePlasticTree
ciao, volevo invitarti su www.ilrifugiodeimoai.it , una volta effettuata la registrazione potrai partecipare ai forum, scivere articoli e pubblicare foto, spero di vederti presto, ciao.
RispondiEliminagrazie per l'invito! mi sono già registrato e sicuramente vi verrò a trovare nei giorni in cui avrò la disponibilità dei mezzi informatici :)
RispondiEliminaCiao