lunedì 24 aprile 2006

L’antropologia: relativismo culturale o estetica razziale?

L’antropologia come scienza trae spunto dal naturale senso di curiosità per i popoli remoti andando ad analizzarne gli aspetti più indicativi: cultura, linguaggio e religione. Come vengono evolvendosi? Seguiamo la classificazione dei popoli e delle razze.
È l’ambiente ad influenzare le caratteristiche di una razza modificandole in maniera adattiva ad esso oppure queste costituiscono la prova inconfutabile di un’eredità lineare? Fino al 18° secolo i popoli esotici (il mito del selvaggio) venivano considerati come tassello mancante all’interno della sacra disposizione biblica uomo – scimmia. Dal 18° secolo in poi lo studio della razza è prerogativa laica e viene spiegata in base a criteri empirici mossi da intenti che di scientifico avevano davvero poco.

Lo scienziato francese Lamarck sosteneva il carattere peculiare dell’adattamento all’ambiente come vera e propria discriminante nell’evoluzione della specie e al suo interno fra le varie razze.
Questa concezione figlia delle conquiste rivoluzionarie (liberté egualité fraternité) e del materialismo critico proprio dell’Illuminismo aveva portato anche all’eliminazione del concetto di anima tradizionalmente inteso: ora esso viene concepito come un fluire di energia nervosa che si materializza in termini di intelligenza e di attitudine a determinati comportamenti, lasciando aperta, però, la possibilità al mutamento di queste qualità.
Con Buffon si passa dalle teorie ambientali all’Estetismo.
Piano piano prende piede la vena spirituale e soggettiva del pietismo che rileva la dimensione riflessiva ed empirica dell’illuminismo dando vita ad un approccio spiccatamente sentimentale.

Lineo (Von Lineè) sottopone la descrizione a giudizi soggettivi dei requisiti, diventando così il pioniere della classificazione razziale tendente al soggettivismo (la direzione del futuro)
Prende piede la contrapposizione fra bianchi (inventiva e ingenuità e rettitudine) e negri (pigrizia inettitudine e indisciplina). In questa suddivisione i bianchi rispecchiavano i valori della borghesia mentre i neri quelli delle classi sociali più infime come i sanculotti.
Opinioni che avendo perso le connotazioni scientifiche andarono diffondendosi proprio all’interno della classe media con valore discriminatorio in base al quale si procedeva alla suddivisione della società (l'apparenza esteriore si tramuta in ordine e valori). Perdura comunque la caratterizzazione ambientale e priva di riferimenti all’ereditarietà. Accanto alle considerazioni socio-estetiche.


Blumenbach fondatore dell’antropologia moderna fu il primo a sottomettere le considerazioni di tipo scientifico al giudizio estetico. A suo avviso il modello al quale equipararsi era quello greco: la perfezioni nei lineamenti del volto ed il senso di proporzione e simmetria evincibile dalle parti anatomiche rappresentava bene i canoni di moderazione e ordine a cui aspirava la classe media europea.
Anno 1789 data del suo definitivo passo verso la classificazione umana in base a criteri estetici; sebbene questa stessa posizione non privilegiasse ancora una specifica razza.
Influenzato dalle opere di Camper egli sostenne la purezza razziale del ceppo indoeuropeo. In tale accezione egli includeva anche gli abitanti dell’Africa settentrionale dell’India oltre all’Europa (nella fattispecie il georgiano) nobilitati da una notevole proporzione nel raffronto fra misurazioni craniche e facciali.
L’escalation finale verso la pura speculazione estetica si ha con Lavater il quale riduceva le competenze dello scienziato/ antropologo all’intuizione visiva avente come obiettivo di base il riconoscere i vari livelli di grazia del volto e del corpo. In seguito furono messe appunto varie teorie speculative aventi come obiettivo quello di definire anzitutto dei criteri in base ai quali definire il tipo ideale di razza.
In questa fase non avendo ancora chiaro il concetto, si tende a sovrapporne il significato a quello di nazionalità creando un’identità che ben si adatterà allo spirito romantico e idealistico tedesco.
Il concetto di bello ideale, quello greco, verrà definito attraverso la teoria dell’angolo facciale di Camper prima, passando per le valutazioni fisiognomiche di Lavater e Della Porta (paralleli con gli animali) e quelle frenologiche (studiò la forma del cranio) di Gall, fino a giungere in ultima analisi, con il tedesco Carl Gustav Canus, al riconoscimento, nella pelle chiara, nel colorito biondo e nella purezza degli occhi celesti, della razza europea come quella diurna o “baciata dal sole” e pertanto superiore alle razze notturne o crepuscolari (neri e asiatici).


Un capitolo a parte meritano gli ebrei, a lungo esentati da una difficile classificazione, data la somiglianza eccessiva con la razza bianca: essi risentirono delle teorie fisiognomiche secondo le quali ai lineamenti del volto seguono delle precise inclinazioni caratteriali.
In tal modo gli ebrei vennero tacciati di poca moderatezza e di avidità, nonché di slealtà e disaffezione al valore della persona umana così come veniva concepito dalla cultura europea.
Questi pregiudizi venivano perfettamente incarnati a livello fisico dai nasi adunchi e dalle orecchie appuntite con cui essi venivano frequentemente rappresentati

Di lì a poco sarebbe avvenuta l’esplosione di tutte queste teorie più o meno scientifiche che avrebbero trovato terreno fertile all’interno del disegno di sterminio della cosiddetta razza ebrea, ben pianificato dal regime nazionalsocialista in Germania.

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