sabato 31 maggio 2008

Reato di clandestinità? Non Pervenuto (parte 2)

Continuiamo l'analisi sul reato di clandestinità, iniziato qualche giorno fa. Come promesso, oggi "Vedremo perchè la strada scelta non solo non risolverà il problema, ma sarà controproducente e comporterà anche un costo per tutti i contribuenti."

Le argomentazioni a supporto di questo scenario le voglio affidare ad un articolo del procuratore aggiunto di Torino Bruno Tinti, già autore del libro "Toghe Rotte", dove spiega al cittadino qualunque perchè in Italia il sistema giudiziario non funziona, e perchè l'impunità è la norma.

















(La Stampa - 26 maggio 2008)

Riassumo i punti principali.

Se oggi l'espulsione è un atto amministrativo, che quindi potrebbe essere affidato ai sindaci (come già chiesto da molti), ai prefetti o ai questori, dopo il decreto diventerà un atto giudiziario, e quindi la competenza passerà al sistema giudiziario. Una macchina già lenta e in difficoltà, che rischia di implodere. Anche l'Associazione Nazionale Magistrati ha espresso questo timore.

I costi del decreto saranno enormi: basti pensare che per ogni processo ad un immigrato servirà mobilitare un Pubblico Ministero, un giudice, due segretari, vari poliziotti e la Polizia penitenziaria, un funzionario amministrativo, e ovviamente un interprete. Moltiplicate questo per il numero di immigrati clandestini, e avrete una misura di quanto costerà il tutto, ammesso che la macchina non si inceppi prima.

L'efficacia è il punto più scandaloso. Nello scorso articolo avevo fatto questo esempio: "E' come se parlassimo di cani randagi e scrivessimo una legge sui gatti". Perchè?
Semplice, basta leggere il testo del decreto: "Lo straniero che fa ingresso nel territorio dello Stato in violazione delle disposizioni del Testo Unico è punito etc etc...".
Quindi, gli immigrati clandestini già presenti in Italia non saranno considerati nel reato, ma solo quelli che entreranno in futuro. Che ovviamente si metteranno al riparo dichiarando che erano già presenti in Italia prima del 2008, e sarà difficile provare il contrario.

Insomma, studiando a fondo il problema vediamo che la realtà è ben diversa dalla percezione diffusa dai mezzi di informazione, che hanno lasciato intendere che tutti i clandestini saranno perseguiti; ancora una volta la macchina sforna propaganda, più che di verità.

martedì 27 maggio 2008

Reato di clandestinità? Non Pervenuto

Sull'immigrazione si è vinta una campagna elettorale. Troppi riflettori puntati, e ora il governo non poteva certo deludere.
Titolone in prima pagina del Giornale, 21 maggio 2008: "La svolta: galera per i clandestini". "L'immigrazione clandestina diventa reato (da 6 mesi a 4 anni di carcere". E il giorno dopo rincara la dose: "Parola d'ordine, rigore e fermezza" (con annessa foto di Silvio), "Via libera al pacchetto sicurezza: linea dura contro i clandestini." Fantastico. Finalmente un governo del fare, che decide di affrontare un problema vero in modo efficace. Via tutti i clandestini irregolari dall'Italia (si accontenti, per ora, chi proprio non tollera gli stranieri, siano essi tedeschi o albanesi)!

Ma il Giornale, da anni megafono di Berlusconi (e di proprietà della stessa famiglia), sembra che dialoghi a distanza con gli altri quotidiani, che partecipano alla pubblicità:

La Repubblica, super titolone: "Carcere per i clandestini". Poi però, per fortuna, approfondisce un po' più seriamente la cosa all'interno, con un articolo del Procuratore Torinese Bruno Tinti, che conosce bene il sistema giudiziario.

Il Corriere, più seriamente, riporta: "Il governo: sarà reato l'immigrazione clandestina", riconoscendo nel Governo la responsabilità di chi fa certe affermazioni.

La Stampa, altro titolone: "Un reato essere clandestini". "Berlusoni: lo Stato torna Stato"..."e batte il pugno sul tavolo".

Sole 24 Ore: "Il reato di clandestinità resta, ma non nel decreto"

Il Messaggero: "Maroni, la clandestinità sarà reato". E sullo stesso quotidiano, il 22 maggio, Carlo Fusi scrive: "Governo del fare: Silvio centra il primo obiettivo.[...] La sensazione trasmessa ai cittadini, infatti, è quella di un esecutivo che prende di petto alcune emergenze innegabili e di forte impatto sull'opinione pubblica".

E sul versante TV, lo spazio non si conta: via a talk-show, TG, commenti di esperti, Bruno Vespa. Una massa di comunicazione che serve a sostenere e dare forza alla scelta del governo. Prendo davvero un esempio a caso, tra i mille: un editoriale in prima pagina, di una persona seria come Angelo Panebianco, che sul Corriere, in una riflessione più ampia sul ruolo dello Stato, fa questa affermazione: "Anche la discussione sul reato di clandestinità ha molto a che fare con il livello di statualità ritenuto accettabile, opportuno, nonchè compatibile con la democrazia. Il reato, di clandestinità, com'è noto, è vigente in altre democrazie occidentali. Da noi alcuni vi si oppongono solo per ragioni pragmatiche."

Read this doc on Scribd: 08-27-05 - se lo stato fallisce


A me pare che invece, la maggioranza di chi si oppone, lo faccia per ragioni ideologiche. Un rifiuto, che fa parte di una corrente di pensiero tipicamente di sinistra, che vede nel multiculturalismo una cosa sempre positiva, anche se viene affrontato in modo disordinato, confuso e senza regole come in Italia. Un atteggiamento che però è stato adottato da tutti i governi negli ultimi 10 anni, compreso i 5 anni di governo Berlusconi.

Ora, che la clandestinità debba essere punita riflettendoci sembra quasi ovvio, nel termine stesso è compresa una situazione di illegalità. Nel caso di stranieri, la pena dovrebbe coincidere con l'espulsione o la regolarizzazione. Ogni anno devono essere ammessi solo il numero di stranieri compresi nei flussi migratori calcolati, e cioè che il nostro paese è capace di assorbire e integrare nel mondo del lavoro. Altrimenti il resto inizia a delinquere, non c'è scelta. Come qualsiasi italiano disperato e senza lavoro.

Il problema quindi non è nell'obiettivo dichiarato dal governo "Via tutti gli irregolari", che personalmente condivido, ma è nel fatto che l'intervento in programma non solo è discutibile, ma è totalmente inefficace perchè non si occuperà degli immigrati clandestini che si trovano già in Italia. E' come se parlassimo di cani randagi e scrivessimo una legge sui gatti. Vedremo la prossima volta perchè la strada scelta non solo non risolverà il problema, ma sarà controproducente e comporterà anche un costo per tutti i contribuenti.

venerdì 23 maggio 2008

Quando lo Stato stava vincendo





“La Mafia è un fenomeno umano e come tutti i fenomeni umani è destinato morire".(G. Falcone)
A fine anni 80 e per i primi anni 90 alcuni rappresentanti dello Stato avevano la vittoria in pugno. La chiave usata per distruggere la mafia fu di minare i suoi rapporti col potere politico ed economico. Colpire solo la mafia militare, armata, serviva a ben poco. E' una storia che ho pensato meritasse di essere raccontata, e spero letta.

Ufficio Istruzione di Palermo, Rocco Chinnici è il primo a rompere i soliti schemi burocratici di indagine, e adottare il metodo del Pool, inventato dal giudice torinese Gian Carlo Caselli. Il pool, un gruppo di lavoro affiatato, basato sulla circolazione delle informazioni, strettamente riservata ai soli membri, che poi le elaborano unitariamente: i risultati, manco a dirlo, sono eccezionali.

La storia di Chinnici, purtroppo, segue un modello che si ripeterà spesso: un giudice autonomo, che non ha ascoltato i "buoni consigli", come quelli di Salvo Lima, parlamentare andreottiano, che lo invitò ad interrompere le indagini sui colletti bianchi (Nda, personaggi politici e imprenditori) perchè rischiavano di bloccare "l'economia siciliana" e di farlo passare come un giudice persecutore della Dc. Frasi, minacce e atteggiamenti che ritroviamo ancora oggi, ormai inserite nel linguaggio politico.

Chinnici viene ucciso nel 1983, e lascia la sua eredità ad Antonio Caponnetto, che potenzia il metodo del Pool e lo rende più efficace e indipendente. Mentre i Pubblici Ministeri, infatti, si trovavano ingabbiati sotto il comando della Procura, i giudici istruttori (cioè quelli che indagano, raccolgono prove, ed emettono i rinvii a giudizio) furono dotati di indipendenza e autonomia. La qualità delle persone che vi facevano parte fece poi il resto: Giovanni Falcone, Paolo Borsellino, Leonardo Guarnotta, Giuseppe di Lello, Gioacchino Natoli, Ignazio De Francisci e Giacomo Conte.

Nel 1987 Caponnetto va in pensione e lascia il posto...a Falcone? Sarebbe stata la scelta naturale, ma si decide di iniziare lo smantellamento dall'interno di quel Pool di indipendenti. Viene nominato, secondo il criterio dell'anzianità, Antonino Mieli. Cosa ne pensano di questo, oggi, i difensori (a parole) della meritocrazia?
Mieli inizia la sua opera distruttrice, sparpagliando i processi antimafia in tutta la Sicilia. Borsellino commentò: "Con questa tecnica (il pool, centralizzato, Nda) si chiuse la pagina delle indagini parcellizzate che per anni non riuscirono mai a centrare veri obiettivi. Ho l'impressione che qualcuno voglia tornare indietro".

La reazione alle indigniazioni dei giudici è quella che abbiamo visto e continuiamo a vedere oggi per altri casi: "protagonismo", "sete di potere", "filocomunismo", "ambizioni di protagonsimo istituzionale e politico". L'indipendenza dei giudici, così come prevista dall'art. 104 della Costituzione, brucia ai tanti che vogliono difendere il sistema di potere mafioso-politico.

1989, Giovanni Falcone lascia, deluso e stremato, l'ormai defunto Pool, ed entra in procura di Palermo come Procuratore aggiunto, per cercare di salvare il salvabile. E' però al fianco di Pietro Giammanco, un magistrato di potere, con fedelissimi come Giuseppe Pignatone, figlio di un potente democristiano. Giammanco metterà in moto il suo team, portando all'isolamento Falcone e sottraendogli ogni ruolo di coordinatore delle indagini antimafia. Il metodo usato fu quello delle "carte a posto": i documenti venivano diffusi secondo le gerarchie, solo ai PM fedeli, e spesso Falcone verrà tenuto all'oscuro di decisioni prese. Il tutto è annotato sul suo computer, in un documento pubblicato dal quotidiano Sole 24 Ore, purtroppo solo dopo la strage.

Nel 1991 Falcone getta la spugna, lascia la procura per trasferirsi a Roma, e viene sostituito da Borsellino. Anche lui va neutralizzato: verrà relegato alle indagini sulla sola Trapani, impedendogli di lavorare sulla mafia Palermitana. Un esempio: nel giugno 1992, dopo l'uccisione di falcone, il mafioso Mutolo decide di pentirsi e collaborare con Borsellino. Giammanco e il suo team cercano di impedire l'incontro, e solo la minaccia di dimissioni di Borsellino li farà desistere. Nei primi interrogatori, il pentito preannuncia relazioni tra mafia, politica e istituzioni (come il poliziotto Bruno Contrada e il giudice Corrado Carnevale), ma il lavoro di Borsellino fu bloccato dopo pochi mesi, con la sua morte.

Falcone viene ucciso il 23 maggio 1992, alle ore 17:58, con una carica di cinque quintali di tritolo che uccide lui, la moglia, e 3 uomini della scorta. Il telecomando fu azionato da Giovanni Brusca, assoldato dal mafioso Totò Riina.

Il 19 luglio 1992, Paolo Borsellino si reca insieme alla sua scorta in via D'Amelio, dove vive sua madre. Una Fiat 126 parcheggiata nei pressi dell'abitazione della madre con circa 100 kg di tritolo a bordo esplode, uccidendo oltre a Paolo Borsellino anche i cinque agenti di scorta.

La mafia non vinse ancora con queste due stragi, perchè 8 coraggiosi giudici che componevano il Pool antimafia di Falcone e Borsellino protestarono pubblicamente, costringendo Giammanco alle dimissioni. A Palermo arriverà, dal nord Italia, il giudice Gian Carlo Caselli, a ridar vita al lavoro del Pool e riprendere la lotta alla mafia. In questo caso, però, il tritolo non servirà. Una campagna mediatica e politica, diffamatoria, che continua ancora oggi, ostacolerà continuamente i lavori del pool, sancendo la vera sconfitta dello Stato, voluta da quella parte di esso che ha deciso e continua a decidere di convivere con la mafia.

In occasione dell'anniversario della strage di Falcone, mi piacerebbe che tutti, al Nord come al Sud, si impegnino sempre a non convivere, ma ad unirsi alle forze sane del paese per distruggerla.

«La lotta alla mafia dev'essere innanzitutto un movimento culturale che abitui tutti a sentire la bellezza del fresco profumo della libertà che si oppone al puzzo del compromesso morale, dell'indifferenza, della contiguità e quindi della complicità.»
(Paolo Borsellino)

giovedì 22 maggio 2008

Propaganda e vittoria elettorale

Pubblico questa bella riflessione dell'amico TenderSurrender, su un tema che ultimamente ho affrontato e che anche alla luce dei recenti fatti (Travaglio, etc...) acquista sempre maggiore importanza: la propaganda. Buona lettura.


La propaganda è caratteristica principe di un totalitarismo. Errata corrige: una delle parti che lo nutrono. La Cina censura internet, il governo ne detiene il controllo. Google, in Cina, non è la homepage a cui siamo abituati, tutt’altro. You Tube non è l'arsenale di cultura che conosciamo, non è un occhio sul mondo, come da noi.

Lì la propaganda è a livelli altissimi. Serve ai Cinesi per continuare a produrre. Serve a noi occidentali per continuare a ricevere.

In Italia la propaganda non serve a niente, eccetto che a vincere. Passo indietro.
In Italia la propaganda serve a vincere.

Le ultime elezioni hanno sancito il successo della Lega. Il successo della Lega ha sancito lo stra-successo di Berlusconi.
Senza la Lega Berlusconi non avrebbe mai vinto.

Domanda: come ha fatto la Lega ad ottenere un successo così ampio ?

Per i più, il partito di Bossi ha intercettato la richiesta di sicurezza degli Italiani.
Se fosse stato presente sarebbe stato votato anche al Sud. Dove però è stato ben sostituito dall' MPA.

Da dove deriva la “domanda di sicurezza” ?

La domanda sotto forma di richiesta alle classi dirigenti, trae origine dai ripetuti fatti di cronaca susseguitisi nel biennio Prodi.

Dal 2001 al 2006 c'era una calo della "domanda sicurezza". Chi produceva (l'informazione), ha messo la sicurezza a piè di pagina.
Così i consumatori (i telespettatori) ne hanno richiesta a piccole dosi.
Dal 2006 al 2008, biennio Prodi, la domanda subisce una brusca impennata. Un Boom di vendite. I consumatori non sentono altro in tv, non leggono altro sui giornali. Non discutono d'altro.

L'informazione influenza l'opinione pubblica, ne determina il giudizio. Il giudizio dell'opinione pubblica è inequivocabilmente legato all'Informazione. La gente assorbe informazioni che da lì a poco saranno analizzate sottoforma di giudizi.

Il tema sicurezza, durante i due mesi di campagna elettorale, è stato affrontato e discusso come mai prima d'ora, fino ad essere vivisezionato. E' stato, discusso, affrontato, richiesto e giudicato, soprattutto, o quasi del tutto, dalle televisioni e dai giornali che appartengono a colui che di fatto da lì a poco sarebbe divenuto per la quarta volta presidente del consiglio. L'alleato di Bossi, che fa del tema sicurezza la base di tutto.

Ricapitolando. Berlusconi vince grazie alla Lega, la Lega vince grazie ad un opinione pubblica fortemente condizionata dall'informazione. Un informazione che cavalca l'onda di stupri perseguiti da immigrati.

Questo vale solo per la Lega.
Potrei continuare, e ricordarvi di come il Tg5 abbia tirato lo sprint elettorale al Popolo delle Libertà, calpestando i temi legati all'inflazione , alla crescita, al precariato.
Inculcando nell'opinione pubblica l'idea di un paese allo sbando, il cui cambiamento sarebbe dipeso solo dal voto. Il voto come ultima speranza.
Il voto contro Prodi per come ha ridotto l’Italia.

Il Biennio Prodi , dati alla mano, ha risollevato i conti. Ora da parte dell’Europa non vi è più alcuna procedura.
Il fatto è che nel frattempo si è già votato.

sabato 17 maggio 2008

La macchina della propaganda - Caso Travaglio

La macchina della propaganda si è attivata. Anche prevedendone il comportamento, fa sempre impressione vederla in moto. Tv e perfino giornali come il Corriere e la Repubblica hanno fatto quadrato CONTRO il giornalista Travaglio, e il giornalismo da lui rappresentato: non schierato, attento ai fatti, e, perchè no, che ha ampia risonanza tra la gente.
Marco Travaglio nei suoi interventi racconta fatti, quasi sempre di cronaca giudiziaria, in modo pacato ma con freddure e battute di tipo satirico. Informa divertendo. E' un suo stile, sicuramente originale.

La settimana scorsa a "Che tempo che Fa" ha riportato fatti giudiziari relativi ai rapporti tra Presidente del Senato Schifani e alcuni personaggi mafiosi. Notizie già scritte nei documenti processuali e anche in alcuni libri. Ma finchè restano a conoscenza di qualche migliaio di persone si possono ignorare. Farlo sapere a svariati milioni di ascoltatori è invece off-limits, e va punito. La massa deve continuare ad ignorare.
E che insegnamento diamo ai tanti nuovi giornalisti desiderosi di fare bene il loro lavoro? Se addirittura il "grande Travaglio", col suo immenso potere, è sotto accusa da media e politici, figuriamoci un giornalista esordiente. Imparerà che se vuole mantenere il suo posto deve tacere e fare gli interessi di chi comanda. "Educarne uno per educarli tutti", il primo comandamento della propaganda.

Questa campagna mediatica è davvero illuminante, ricca di elementi per capire in che modo agisce la propaganda. La analizzeremo per bene solo quando il polverone si sarà posato.
Intanto, non si può non notare i titoli e gli articoli dei giornali: "Marco Travaglio attacca il presidente del Senato Renato Schifani". Attacco? Non c'è mai stato: i contenuti sono incontestabili, al limite si può criticare Travaglio sui toni e sulle battute fatte, ma non nel merito.
Ma il risultato ormai è che milioni di persone continuano a credere che Travaglio abbia attaccato chissà come Schifani, offendendolo o raccontando falsità.
Lascio la replica al diretto interessato: "Io invece penso che debbano sapere tutto, che sia nostro dovere informarli del fatto che stava [Schifani, Ndr] in società con due personaggi poi condannati per mafia, che si occupava di urbanistica come consulente del comune di Villabate, controllato dal clan Mandalà, anche dopo l'arresto del figlio del boss e subito prima dello scioglimento per mafia".

Impariamo a consocere la propaganda; difendiamo questo giornalismo, perchè l'informazione è tutto. Mi è molto piaciuta l'ultima iniziativa di Grillo, che darà uno spazio in diretta a Marco ogni lunedi alle 14.00. Voglio contribuire, potrete utilizzare anche il nostro blog per vedere la diretta.

passaparola



P.S. Per una volta Grillo ha fatto, secondo me, un buon intervento, che tocca tutti i punti importanti del caso Travaglio-Schifani. Ve lo ripropongo.

12 Maggio 2008
¡Que viva Franco!

Il presidente del Senato Renato Schifani è indignato. E’ in buona compagnia. I vertici RAI sono indignati. Anna Finocchiaro è indignata. Gasparri è indignato. Follini è indignato. Il PDL è indignato. Il PD è indignato.
L’indignazione sta tracimando dalle narici del veltrusconismo. Guareschi creò i trinariciuti. I veltruschini hanno un buco in più. Sono quadrinariciuti, due narici di sinistra e due di destra, che soffiano indignazione per la libera informazione.
Quattro narici in fila per due.
Travaglio ha fatto alcune dichiarazioni, tratte dal libro scritto con Gomez: “Se li conosci, li eviti” e da: “I complici” di Lirio Abbate e Gomez. Nessuno ha chiesto in questi mesi il ritiro dei libri. Perché?
Travaglio ha avuto il torto di fare le dichiarazioni in televisione. Milioni di italiani che non leggono i libri lo hanno potuto ascoltare. Il problema è nel media, non nel messaggio. RAISET è cosa loro.
Schifani ha spiegato che “C’è chi vuole minare il dialogo”, ma di questo non deve avere paura. Il dialogo può solo avvenire, infatti, tra due soggetti distinti, ognuno con una propria identità. I veltruschini quadrinariciuti sono la stessa cosa. Il dialogo tra Finocchiaro e Gasparri è un fatto genetico. Hanno lo stesso DNA.

Schifani ha aggiunto: “Se c’è qualcuno che deve pagare dei prezzi li pagherà”.
Inizierei dalla Spagna. Frattini ritiri gli ambasciatori e La Russa si predisponga per una nuova Guernica. E’ la giusta risposta a El Pais, il quotidiano spagnolo più diffuso con mezzo milione di copie, che ha scritto il 29 aprile 2008, due settimane prima che Travaglio andasse dallo stuoino Fazio:

“Il suo nome (Schifani ndr) è stato associato dalla stampa italiana con la criminalità organizzata siciliana, dato che negli anni ottanta fu socio in una compagnia nella quale figuravano Nino Mandalà, boss del clan mafioso di Villabate, e Benny d’Agostino, imprenditore legato allo storico dirigente di Cosa Nostra, Michele Greco”.

Bombardiamo Zapatero e la stampa indipendente spagnola. ¡Que viva Franco!

Leggi l'articolo su "El Pais".
Leggi la traduzione in italiano dell'articolo de "El Pais".

http://www.beppegrillo.it/2008/05/que_viva_franco.html

sabato 10 maggio 2008

Lavagna della Libertà - Micci-chi?



"Io sarò sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega al Mezzogiorno e al Cipe."

(GianFranco Micciché - Repubblica.it - 25 Aprile 2008)


Indagini per droga
"L'11 gennaio 1988 GianFranco Micciché, che all'epoca lavorava presso Publitalia, venne interrogato nell'ambito di un'inchiesta sul traffico di droga a Palermo, in quanto sospettato di essere uno spacciatore. Miccichè rispose: "Non sono uno spacciatore ma solo un assuntore di cocaina". Non comportando il fatto reato, la posizione venne archiviata mentre gli spacciatori vennero arrestati il successivo 14 aprile.L' 8 agosto 2002 venne invece diramata un'informativa dei Carabinieri che sostanzialmente accusava Gianfranco Micciché di farsi recapitare periodicamente della cocaina presso gli uffici del ministero delle Finanze, in cui all'epoca ricopriva il ruolo di vice ministro. L'informativa fu emessa in seguito ad indagini testimonianti, anche tramite supporti audiovisivi, le "visite" che il presunto corriere Alessandro Martello faceva indisturbato presso il ministero, pur non essendo un soggetto accreditato ad entrarvi. Anche le intercettazioni confermerebbero la versione degli organi di polizia. Dal canto suo, Miccichè ha smentito categoricamente, avanzando a sua volta l'ipotesi di un servizio d'ordine deviato. "

(Wikipedia + Repubblica.it - 9 agosto 2002 )


Nell'ottobre 2007 ha affermato che l'intitolazione dell'aeroporto di Palermo a Falcone e Borsellino trasmette a chiunque arrivi per la prima volta nell'isola un'immagine negativa della Sicilia. Dopo le proteste provocate dalle sue tesi, Miccichè si è scusato e ha ritirato la frase, placando solo in parte le polemiche.
Aeroporto Falcone-Borsellino. Che immagine negativa trasmettiamo subito col nome dell'aeroporto"

(Da Wikipedia - 11 Ottobre 2007)

"Noi trasmettiamo sempre un messaggio negativo. Se qualcuno in viaggio per Palermo in aereo, non ricorda che l’immagine della Sicilia è legata alla mafia, noi lo evidenziamo subito già con il nome dell’Aeroporto di Punta Raisi."

(Gianfranco Micciché, FI, Presidente Assemblea Regionale Siciliana, 10 ottobre 2007)


"Uomo ottimista e positivo che associa all'isola, piuttosto, il pensiero del latte di mandorle e dei fichi d'India oltre che quello dei milioni di voti con cui è stato eletto, recordman di preferenze e artefice del celebre 61 a 0, tutti voti antimafia fino all'ultimo, va da sé. Poi, quando Maria Falcone sorella del magistrato ucciso, una donna che da anni passa le mattine nelle scuole dell'isola a parlare ai ragazzi di legalità, gli ha fatto con fermezza notare che l'aeroporto non è intitolato a Riina o a Provenzano "ma a due eroi italiani che credevano nel riscatto della nostra terra combattendo le cosche" persino Micciché si è reso conto. Si è scusato della "frase infelice", l'ha "ritirata".

(Repubblica.it - Ottobre 2007 - )


"E in queste ore si conferma che la delega sarà affidata a Gianfranco Micciché, che lunedi sarà nominato sottosegretario alla Presidenza del Consiglio o, in alternativa, al Ministero dell'economia.[...] A palazzo Chigi Micciché dovrebbe avere anche la delega al mezzogiorno"

(Sole 24 Ore - 9 maggio 2008)


"Io sarò sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega al Mezzogiorno e al Cipe."

(Gianfranco Micciché - Repubblica.it - 25 Aprile 2008)

Note

1. http://www.repubblica.it/online/cronaca/cocafinanze/verbali/verbali.html
2. http://www.repubblica.it/2007/10/sezioni/cronaca/micciche/micciche/micciche.html
3. http://www.corriere.it/Primo_Piano/Cronache/2002/08_Agosto/09/micciche.shtml
4.http://www.repubblica.it/2008/04/sezioni/politica/formazione-governo/squadra-governo/squadra-governo.html)

venerdì 2 maggio 2008

Augurio ai veri lavoratori

Non sono solito fare auguri per le festività, mi limito ai soli compleanni e occasioni particolari. Il 1 maggio secondo me si fa tutto tranne che riflettere seriamente sul concetto di lavoro. lancio il mio breve messaggio di augurio.

Penso che oggi si debbano fare gli auguri (e i complimenti) a tutti quelli che fanno il loro lavoro in modo onesto, cercando di eseguirlo al meglio.
Al funzionario pubblico che non fa favori, all'insegnante che si impegna per istruire i ragazzi, al genitore che sta dietro i figli e non li lascia crescere per strada, al ragazzo che studia a scuola pensando al proprio futuro, al dipendente di un azienda che lavora e non evade e anche all'imprenditore di quell'azienda che distribuisce ricchezza e non evade le tasse.

Il mio augurio va a queste persone, mentre chi lavora per fregare il prossimo non merita niente, perchè truffare il prossimo non lo considero un lavoro degno di essere riconosciuto tale.