sabato 7 aprile 2007

Noam Chomsky - Le minacce all'Iran

Per problemi personali non potrò aggiornare il blog nelle prossime settimane, ma ho pensato di continuare segnalandovi alcuni articoli che ritengo meritevoli di essere letti. Dopo l'ottima analisi sulle acque minerali, di cui spero abbiate fatto tesoro, ecco un articolo dell'intellettuale Noam Chomsky, forse il maggior conoscitore della storia e delle politiche statunitensi, in cui parla della situazione sempre più tesa tra Washington e l'Iran. Buona lettura, e scusate la (spero breve) pausa.



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L’influenza iraniana nella “mezzaluna” sfida il controllo americano. Per una casualità geografica, le maggiori risorse petrolifere mondiali sono soprattutto nelle aree sciite del Medio Oriente: l’Iraq meridionale, le regioni adiacenti dell’Arabia Saudita e l’Iran, con alcune delle maggiori riserve di gas naturale. Il peggior incubo di Washington sarebbe una alleanza sciita che controlli la maggior parte del petrolio mondiale, libera e indipendente dagli Stati Uniti.

L’escalation delle minacce da parte di Washington contro l’Iran è sostenuta dalla determinazione di assicurarsi il controllo delle risorse energetiche della regione.

Nel Medio Oriente ricco di risorse energetiche solo due paesi non si sono sottomessi alle richieste principali di Washington: Iran e Siria. Di conseguenza entrambi sono nemici, l’Iran di gran lunga il più importante. Come era di norma durante la guerra fredda, il ricorso alla violenza è regolarmente giustificato come reazione alla maligna influenza del principale nemico, spesso sulla base dei pretesti più inconsistenti. In modo prevedibile, visto che Bush invia più truppe in Iraq, affiorano in superficie racconti di interferenze iraniane negli affari interni dell’Iraq – un paese per altri aspetti libero da ogni interferenza straniera – sul tacito presupposto che Washington governi il mondo. Nella mentalità da guerra fredda di Washington, Teheran è raffigurata come l’apice della cosiddetta mezzaluna sciita che si allunga dall’Iran fino agli Hezbollah in Libano, attraverso le regioni sciite dell’Iraq meridionale e la Siria. Ed in modo altrettanto prevedibile, il “potenziamento” in Iraq e l’escalation delle minacce e delle accuse contro l’Iran è accompagnato da una volontà riluttante a partecipare ad una conferenza con le potenze della regione, con un’agenda limitata all’Iraq.

Presumibilmente questo minimo gesto di diplomazia è inteso ad attenuare le paure crescenti provocate dall’intensificarsi dell’aggressività di Washington.

A queste preoccupazioni viene dato nuovo valore da uno studio analitico sull’ “effetto Iraq” degli esperti di terrorismo Peter Bergen e Paul Cruickshank, che ha dimostrato come la guerra in Iraq “abbia incrementato di sette volte il terrorismo a livello mondiale”. Un “effetto Iran” potrebbe essere ancora più grave.

Per gli Stati Uniti, la questione primaria del Medio Oriente è stata e resta il reale controllo delle sue ineguagliabili risorse energetiche. L’accesso è una questione secondaria. Una volta che il petrolio è sul mare va dovunque. Il controllo è inteso come strumento per la supremazia globale. L’influenza iraniana nella “mezzaluna” sfida il controllo americano. Per una casualità geografica, le maggiori risorse petrolifere mondiali sono soprattutto nelle aree sciite del Medio Oriente: l’Iraq meridionale, le regioni adiacenti dell’Arabia Saudita e l’Iran, con alcune delle maggiori riserve di gas naturale. Il peggior incubo di Washington sarebbe una alleanza sciita che controlli la maggior parte del petrolio mondiale, libera e indipendente dagli Stati Uniti.

Questo blocco, se dovesse emergere, potrebbe persino entrare a far parte dell’Asian Energy Security Grid con base in Cina. L’Iran potrebbe essere il membro più importante. Se i pianificatori di Bush provocassero questa situazione, indebolirebbero seriamente la posizione di dominio mondiale degli Stati Uniti.

Per Washington, l’offesa più grave di Teheran è stata la sua sfida, a risalire dall’ abbattimento del regime dello Scià nel 1979 e dalla crisi degli ostaggi all’ambasciata americana. Come ritorsione, Washington si è rivolta verso Saddam Hussein per aiutarlo nella sua aggressione contro l’Iran che ha lasciato sul campo centinaia di migliaia di morti. Dopo sono state applicate sanzioni letali e, con Bush, il rifiuto degli sforzi diplomatici iraniani. Nel luglio scorso, Israele ha invaso il Libano, la quinta invasione dal 1978. Come prima l’appoggio americano è stato un fattore critico, i pretesti appena sottoposti a valutazione critica, sono crollati in breve tempo, e le conseguenze per il popolo libanese sono gravi. Fra le ragioni dell’invasione di Israele e USA c’è che i razzi degli Hezbollah potrebbero costituire un deterrente all’attacco contro l’Iran di USA e Israele. Nonostante le minacce di un attacco militare, ritengo improbabile che l’amministrazione Bush attacchi l’Iran. L’opinione pubblica americana e quella mondiale vi si oppongono in modo determinante. E sembra che anche l’intelligence e le forze militari americane si oppongano. L’Iran non può difendersi da un attacco americano, ma può rispondere in altri modi, fra questi suscitando ancora più caos in Iraq. A questo proposito ci sono avvertimenti molto più gravi, fra questi lo storico inglese Corelli Barnett scrive che “un attacco all’Iran scatenerebbe realmente la terza guerra mondiale”.

Ciononostante, un predatore diventa ancora più pericoloso, e meno prevedibile, quando è ferito. Nella disperazione di salvare qualcosa, l’amministrazione potrebbe azzardare qualche disastro ancora più grande. L’amministrazione Bush ha provocato una catastrofe impensabile in Iraq. Non è stata in grado di stabilirvi uno stato cliente e non può ritirarsi senza affrontare l’eventualità di una perdita di controllo sulle risorse energetiche del Medio Oriente. Frattanto Washington potrebbe cercare di destabilizzare l’Iran dall’interno. La composizione etnica in Iran è complessa; gran parte della popolazione non è persiana. Sono presenti tendenze secessioniste ed è probabile che Washington stia cercando di istigarle – in Khuzestan sul Golfo, per esempio, dove si concentra il petrolio iraniano, una regione principalmente araba, non persiana.

L’escalation di minacce serve anche a far pressione sugli altri per unirsi agli sforzi americani nel soffocare economicamente l’Iran, con prevedibile successo in Europa. Un’altra prevedibile conseguenza, presumibilmente voluta, è di indurre la leadership iraniana ad essere sempre più repressiva, fomentando il disordine e indebolendo i riformisti.

E’ anche necessario demonizzare la leadership. In occidente, ogni dichiarazione violenta del presidente Amadinejad è stata diffusa dalle testate dei giornali, tradotta in modo dubbio. Ma Amadinejad non ha alcun controllo sulla politica estera, che è nelle mani del suo superiore, il supremo leader Ayatollah Ali Khamenei. I media statunitensi tendono ad ignorare le dichiarazioni di Khamenei, soprattutto se hanno carattere conciliativo. Si riportano ampiamente le dichiarazioni di Amadinejad quando dice che Israele non dovrebbe esistere –ma c’è silenzio quando Khamenei dichiara che l’Iran supporta la posizione della Lega Araba su Israele – Palestina, invocando la normalizzazione delle relazioni con Israele, se accetta l’accordo internazionale sulla soluzione dei due stati. L’invasione USA dell’Iraq ha potenzialmente insegnato all’Iran a sviluppare un deterrente nucleare. Il messaggio è stato che gli Stati Uniti attaccano a loro piacimento, quando l’obiettivo è indifeso. Adesso l’Iran è circondato dalle forze statunitensi in Afghanistan, Iraq, Turchia e nel Golfo Persico, ed è vicino a stati dotati di armi nucleari quali il Pakistan ed Israele, la superpotenza della regione, grazie al supporto americano.

Nel 2003 l’Iran si è dichiarato disposto a trattare su tutte le questioni in sospeso, comprese le politiche nucleari e le relazioni israelo-palestinesi. La risposta di Washington è stata di critica al diplomatico svizzero che presentava l’offerta. L’anno successivo, l’Unione Europea e l’Iran hanno raggiunto un accordo con il quale l’Iran avrebbe sospeso la produzione di uranio arricchito; in cambio l’Unione Europea avrebbe fornito “solide garanzie sulle questioni della sicurezza” – codice per le minacce di Stati Uniti e Israele di bombardare l’Iran.

A quanto pare per la pressione degli Stati Uniti, l’Europa non ha mantenuto l’accordo. Quindi l’Iran ha ricominciato con l’uranio arricchito. Un interesse autentico a prevenire lo sviluppo di armi nucleari in Iran, avrebbe portato Washington ad attuare l’accordo con l’Unione Europea, ad accettare importanti negoziati e ad unirsi agli altri verso l’integrazione dell’Iran nel sistema economico internazionale.

Noam Chomsky - 10 Marzo 2007 - The Guardian
Fonte e traduzione: www.zmag.org/italy/chomsky-usapredatore.htm

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