giovedì 25 gennaio 2007

Enzo Biagi - Quello che non si doveva dire

Enzo Biagi è assente dal grande schermo da ormai 5 anni. E' stato invitato solo da Fabio Fazio nel suo programma "Che Tempo che fa". "Il Fatto" era la rubrica di successo, apprezzata dal paese e premiata dagli ascolti record, che subito dopo il Tg1 affrontava diversi temi dell'Italia e del mondo, e soprattutto "raccontava".

Poi venne il Cavaliere dalla Bulgaria, testa d'ariete della politica di destra e sinistra che ha paura dei fatti, e preferisce le chiacchiere dei salotti televisivi. E questo giornalista, che comunque la si pensi è stato un grande punto di riferimento e modello di giornalismo, fu licenziato, gli si impedì di lavorare e fu congedato dalla Rai con un lauto compenso, forse per metterlo a tacere una volta per tutte. Non è un caso che tutti gli oppositori di Biagi oggi si appellano alla sua lauta ricompensa, dicendo che non ha motivi di lamentarsi. Non una parola sull'anomalo licenziamento di un giornalista da parte del presidente del consiglio.

Come me, si può non essere d'accordo con alcune sue conclusioni e opinioni, questo è perfettamente normale. Ma non si può ignorare la qualità del suo lavoro come hanno fatto tante persone in questi utlimi anni, magari senza neanche aver mai letto un suo libro.

Enzo Biagi ci presenta un giornalismo dal sapore antico, interessante e coinvolgente, che trasuda attenzione per i particolari e per valori oggi sempre più in declino, "prendendo ad esempio, per farmi capire meglio, alcune parole che nella mia vita hanno avuto un senso: coraggio, coerenza, umiltà, libertà, rispetto, giustizia, tolleranza, comprensione, solidarietà e amore".

Colpisce leggere i temi che avrebbe trattato se avesse potuto continuare a far televisione. Colpisce il modo in cui affronta gli argomenti, andando alla fonte, intervistando i protagonisti e soprattutto raccontando piacevoli storie. Le parole scritte rievocano la sua voce, quasi si trovasse aldilà della sobria scrivania de "Il Fatto", solo con qualche appunto e la voglia di narrare.

Nei vari capitoli Biagi ci racconta dell'Italia, in un modo che oggi non si trova più in televisione.
Ci racconta della mafia con i ragazzi di Locri. Del declino culturale della televisione, di cui scrive con nostalgia che "quello che mi ha colpito è che al posto del mago zurlì, della nonna del corsaro nero, di sceneggiati del risorgimento e di topo gigio, si dibatte alle 16 di anoressia, suicidio, tette da rifare, omicidi, corna, gravidanze non desiderate, backstage di calendari per camionisti".
Del 25 aprile, anniversario della Liberazione d'Italia, a cui Biagi giustamente tiene. L'importante valore dell'antifascismo, che oggi va sempre più perso da un centrodestradestra che si definisce "moderato" ma alleato di gruppi neofascisti.
Stavolta però "non avremmo parlato di quello che è accaduto il 25 aprile, lo abbiamo fatto tante volte e ci sono i telegiornali per questo: il nostro lavoro avrebbe raccontato quello che è successo a partire dal giorno dopo, dal 26 aprile 1945".

Biagi continua analizzando il ruolo dell'informazione nel periodo delle "guerre preventive", che ha spettacolarizzato tanti eventi senza analizzarne, in modo obiettivo, le dinamiche.

Un lungo capitolo è dedicato alla strage di Bologna, il cui anniversario del 2 agosto 2005 passò nel silenzio generale, che appartiene ad un periodo buio per l'Italia che va al 1947 al 1993 e in cui si contarono 13 stragi, 144 morti e 698 feriti ad opera di diversi gruppi terroristici, come le Brigate Rosse e gruppi fascisti. Biagi se avesse potuto fare TV avrebbe provato a rispondere alle domande "perchè? chi sono i mandanti?", e riportando le sue interviste ad alcuni protagonisti di questi ignobili omicidi. Sarebbe stato senza dubbio un pezzo di televisione di qualità, che purtroppo è mancato.

"Quello che non si doveva dire" è un libro anche molto ricco di spunti autobiografici, sempre piacevoli soprattutto quando ci raccontano la vita degli anziani di oggi, che hanno vissuto in prima persona momenti importanti della storia d'Italia, che oggi sono ormai persi e sembrano restare in vita solo grazie a questi personaggi.
Non bisogna considerarli solo racconti del passato, ma vicende da cui trarre valori e insegnamenti da applicare tuttoggi.

"Anche per me lo scrivere non ha rappresentato solo il lavoro, è stato tutto nella mia vita. So bene che è un mio grande limite, ma non sarei capace di fare niente altro."
Caro Biagi, direi che "quel poco che sa fare" lo sa fare davvero bene.  E penso che ci sia bisogno di lei per innalzare un po' il livello di questa televisione degradata. E chi proprio non lo sopporta, può sempre cambiare canale.

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