venerdì 16 marzo 2007

Quei bravi ragazzi

Non so voi, ma a me dà tristezza vedere persone che un tempo avevano la forza di lottare per alcune idee mentre oggi sono diventate serve di una parte. Di esempi del genere ce n'è a bizzeffe, e forse studiando un po' i dati salta anche fuori che rappresentano la maggioranza di chi "conta" qualcosa. Vogliate definirli più pesantemente traditori o voltafaccia, o in modo più "soft" incoerenti e ipocriti, esse restano persone che hanno cambiato, più o meno radicalmente idea nella loro vita. Sia chiaro, non c'è niente di male nel cambiare idea, anche radicalmente, di fronte a nuovi elementi o a nuove conoscenze; anzi penso sia un dovere essere sempre pronti a farlo.

Il problema sorge quando si parla di personaggi che cambiano sponda a seconda della corrente, e si gettano sempre ai piedi del potente di turno. E non solo politici, ma anche giornalisti, cioè chi dovrebbe essere sempre e solo da un'unica parte, quella dei fatti, dei dati e documenti.

Giovedi sera ad Annozero ho trovato molto triste sentir parlare Stefano Menichini, direttore del quotidiano della Margherita "Europa"[1], una volta giornalista al Manifesto. Anche il nostro Vauro deve aver trovato la cosa triste, avendo commentato con la sua caratteristica ironia: "il mio vecchio amico Menichini, ora lo trovo un bravo ragazzo, sereno, moderato. Son quelle cose che aprono il cuore."
Sarà stata una mia impressione, ma Menichini nei suoi interventi sembrava quasi costretto a dover difendere a tutti i costi il suo partito di riferimento e quindi l'attuale governo. Poichè si parlava di Vicenza, la sua era la parte dell'avvocato suicida, che tenta di difendere l'indifendibile. Ma lui, imperterrito, continuava il suo discorso, cercando di mettere insieme parole per dire e non dire. Parole che stridevano troppo con il precedente intervento di un suo collega, Marco Travaglio, che invece è solito raccontare i fatti senza dover difendere nessuno. Colleghi si, ma di due pianeti diversi. Lo Stesso Ordine, ma due modi opposti di fare giornalismo.

Ho citato Menichini ed "Europa" solo come esempio, non ho nulla contro questo signore il suo quotidiano. Il mio discorso infatti va esteso a tutti quei giornalisti e quei giornali cosiddetti "di partito". Un giornalista non può fungere da semplice ufficio stampa di un partito, per quello ci sono le agenzie che prendono e trasmettono il comunicato così com'è. I giornali di partito non hanno ragione di esistere, ma servono solo ad assicurarsi i soldi pubblici dedicati all'editoria. Non sono contrario agli aiuti ai giornali, ma a patto che questi soddisfino alcuni requisiti che dovrebbero essere elementari: indipendenza da partiti e politici, e indipendenza da imprese e privati. Un giornalista deve poter fare il suo lavoro di ricerca e analisi senza interferenze nè politiche nè pubblicitarie. E' necessario finanziare questo tipo di giornali, proprio per la loro scelta di non avere introiti pubblicitari e quindi nessuna interferenza da parte di imprese private.
Questi che definirei i "minimi requisiti per un informazione credibile" sono merce rara, che neanche i maggiori giornali nazionali, Corriere e Repubblica, hanno. Il motivo? Costano, costano molto. Significa rinunciare all'appoggio politico e soprattutto agli introiti pubblicitari, che per i mass-media rappresentano la maggiore entrata economica. L'inserzionista viene prima del lettore, e si può dimostrare conducendo un accurato studio sui media.

Il giornalismo che sogno e ritengo valido invece incontra sempre più difficoltà, come dimostra l'esperienza del manifesto, nuovamente in crisi finanziaria [2]. Il manifesto non è di certo un quotidiano perfetto, ma alcuni requisiti li ha già, e lo ritengo un modello valido da migliorare e a cui ispirarsi se si vuole davvero dare una svolta a questo modo "clientelare" di fare informazione.

Note

[1] http://www.europaquotidiano.it/
[2]http://www.ilmanifesto.it/sottoscrizione2006/campagna.html

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